Attualità
L'editoriale de "Il mondo del Latte"
20-03-2014
Il turnover dei Ministri al MIPAAF
Trentotto: tanti sono gli uomini(36) e le donne (due) che si sono alternati sullo scranno del ministero dell’Agricoltura dal 1946 ad oggi.
Fatte salve pochissime eccezioni - come Antonio Segni e Giovanni Marcora (in carica poco meno di sei anni), Filippo Maria Pandolfi e Mariano Rumor (che di anni ne sono durati 4 e mezzo), Paolo De Castro (tre anni e mezzo in tre diversi governi, oggi presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo, oltre che collaboratore di punta di questo magazine) e Gianni Alemanno (cinque anni, prima di diventare sindaco di Roma) - i titolari del dicastero dell’Agricoltura sono durati un anno, un anno e mezzo, con meteore che hanno occupato la poltrona solo pochi mesi.
Spesso il ministero è stato un trampolino di lancio, a volte i ministri sono arrivati dalla struttura tecnica e hanno accettato l’incarico per spirito di servizio. Ma la sostanza è che questa continua alternanza non ha giovato alla politica agroalimentare nazionale.
Il nostro Paese ha bisogno di stabilità, di politiche di ampio respiro, di persone che abbiano voglia e siano capaci di approfondire temi complicati e complessi, come quelli legati al food.
Troppo spesso si dimentica che l’industria alimentare italiana è la seconda portaerei dell’economia del
Paese. Che il suo fatturato è secondo solo a quello del metalmeccanico. Che il nostro settore è fatto di imprese capaci come nessun altro di trasformare materie prime semplici e genuine in alimenti di grande qualità. Che è solo grazie alle imprese e agli imprenditori italiani che il made in Italy alimentare è diventato famoso in tutto il mondo. Che l’agricoltura italiana – la cui produzione non è in grado di soddisfare la domanda nazionale di materie prime – è la prima beneficiaria della capacità industriale di creare valore aggiunto.
A noi piacerebbe che questi primati venissero riconosciuti una volta per tutte e che la politica si dimostrasse realmente capace di ascoltare le vere esigenze delle imprese e degli imprenditori.
E ci chiediamo: gli imprenditori saranno capaci di trovare le parole per spiegare che le loro imprese sono le vere locomotive dell’alimentare nazionale? Non è giunto forse il momento che venga loro riconosciuto il ruolo che meritano? Non è forse tempo che le più alte sfere del Paese – in particolare la presidenza del Consiglio – comprendano il valore inestimabile di questo patrimonio imprenditoriale, assumendosi in prima persona la responsabilità delle scelte strategiche future?